Plebisciti e Dittature: non c’è molto da stupirsi che la democrazia continui a mascherare le sue illegalità con uno scrutinio universale.

A tutti è chiesto di esprimere il proprio “si” e il proprio “no” su una schedina dove appare un partito che afferma risolvere tutti i tuoi sogni, apparso col mandato divino, che in gergo viene rinominato Volontà Popolare.

Gli elettori, con le teste ricolme di “si” e “no”, che si affastellano alla rinfusa, come una serie ininterrotta di pubblicità a scacchiera, si recano in massa alle urne, si crea la suspense, la democrazia traballa a destra e sinistra, per poi ritrovare il suo banale assetto, tra beghe di parlamento, risatine a destra e storte di naso a sinistra, e gazzette che rimandano e amplificano il segnale.

Niente di nuovo quindi, che in Italia la dittatura abbia tenuto al colpo d’un ennesimo plebiscito.
In ogni modo, ogni elettore, per quante opinione abbia, non sfugge al fatto che stia comunque votando lo Stato, riconoscendone tutti quanti i suoi dogmi, dando importanza alle onorificenze, alle cariche, ai titoli di stato, ai bombardieri televisivi che dichiarano al pubblico lobotomizzato e ignaro: ”la questione è sacrificale, servono vittime, e siete voi i prescelti”, e quelli sui divanetti in pantofole, senza neppure chinare la testa, al contrario, se ne fanno un opinione, e si lasciano tagliare via la vita.

Certo, il Presidente sgambetta sempre, sul punto di trovare la sua Waterloo, ma per ora, seppur dondolante, tiene le cose in pugno, come un burattinaio di stracci vuoti.

Infatti, non c’è Democrazia senza un Pericle a tiranneggiare.

E se già Napoleone fu l’emblema dell’idiozia e insensatezza che prende il Consolato e s’autoincorona re e Imperatore con cerimonie ormai ridotte al kitsch, le cerimonie del Presidente non sembrano neppure celebrare un kitsch, ma la mancanza di gusto è sostanza della cerimonia.

Da quando intronato dalla Volontà Popolare, non ha smesso di dondolare tra liti giuridiche e pettegolezzi, da regime all’apice del suo splendore: quando si rivela agli occhi dei sudditi, che il proprio duce è un puttaniere, e dei migliori.
Un Mussolini riuscì a nascondere la sua amante, chiudendola in un manicomio, al Presidente la cosa è scoppiata in mano, come un caso di gossip ad una star della tv. Con culi, tette e le telenovelas per rimbambire sempre più quelle casalinghe che, specchiandosi, mentre stirano le calze bucate del marito, si chiedono se le loro forme saranno adatte a saltare al ritmo d’un varietà televisivo, e un marito che, mettendosi quelle calze bucate, amerebbe avere quell’ultimo modello visto alla pubblicità.

Ma tutto non sarà colpa della televisione, se essa non ci fosse, l’idiozia filtrerebbe attraverso altri canali.

Le strade dell’idiozia sono infinite, quanto quelle del signore, e forse le due non differiscono affatto.

Ma la condizione pericolante del Presidente non va certo a favore di movimenti più ragionevoli, di personaggi dotati di progetti più profondi, meno pericolanti e corrotti, ma a tutto favore di chi assume  l’atteggiamento moralizzante, che si trova rispecchiata nella bonaria idiozia che poteva caratterizzare un Goebbels. Con la differenza che se Goebbels sparava a sentire la parola “arte”, questi tirano anche solo per un congiuntivo ben coniugato in buon italiano.

Si pensa poi che non sia possibile paragonare la democrazia italiana, al fascismo o ancora al nazismo, al massimo si ama pensare ad una democrazia sudamericana di cui in pochi si interessano. Nella democrazia non si vedono campi di concentramento, dicono e non fanno vedere. In democrazia non ci sono le camicie brune che si accaniscono sui negozi tenuti degli ebrei.

Ma ci sono le condizioni degli immigrati clandestini — ore di lavoro a basso costo, pari a quelle degli schiavi, con orari di lavoro assurdi e paghe che sono sufficienti solo per abitare una baraccopoli in periferia e rubarsi tozzi di pane e scambiarsi le pulci coi propri compagni di letto; e ci sono poi gli insulti, gli attacchi razziali, che se non mirano l’ebreo, sparano in una massa ancor più ampia e vaga, lo straniero. Facile è che lo straniero sia lì pronto a prendersi sulla faccia la rabbia della società intera, che al momento opportuno, quando la tensione aumenta fino al parossismo, potrà scagliarsi su di lui, col bene placito della polizia, che anzi coadiuva la folla.

Di chi mai sarà la colpa?

Banale è il male che si compie, ognuno aggiunge un gesto, uno solo, piccolo, quel gesto è quello che agirà nel mondo, se esso viene fatto da un cuore nobile esso, non andrà certo e per forza a fare del bene, ma eviterà di farlo in maniera inconsapevole, se invece un gesto viene fatto senza avvedersene, esso non sarà che produttore di banalità e male, poiché da esso nulla si spera, con esso nulla si crea, con esso nulla si tenta di donare, ma solo si prende quel tanto che la propria meschina volontà ha saputo accaparrarsi.

Non esiste una ricetta per estinguere il male dal mondo, non sarà certo un partito politico a risolvere i problemi d’una vita.

Lo stato non è che il garante dei privilegi e delle sottomissioni, in esso non c’è posto che per tre categorie di persone, quelli che comandano e quelli che obbediscono — e spesso questi due ruoli sono compresenti nella stessa persona — e la terza categoria è quella di coloro che stanno alla società, come uno scarabeo stercorario alla sua palla.

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