Sopravvivere all’Ikea può essere particolarmente difficile, le insidie si nascondono dietro ogni angolo. Per fortuna L’Osservatore Bipolare vi fornisce questa guida con tutto quello che dovete sapere per uscirne vivi.

Grylls Ikea
Questa volta mi sono messo davvero in un bel pasticcio.

Bear Grylls mi fa una pippa.
Lo so che sembra un’affermazione un po’ azzardata, ma dopo essere sopravvissuto ad una giornata all’Ikea penso di poterlo dire senza paura di essere smentito.
Mentre finalmente respiravo l’aria del mondo esterno, a pezzi, zoppicante, stanco e provato ho pensato che dovevo fare qualcosa per risparmiarvi un’esperienza tragica come la mia.

Ho deciso perciò di scrivere questa breve guida, divisa in sezioni per una facile consultazione, a beneficio dei lettori che avranno l’ardire di addentrarsi nei meandri del colosso svedese.

Orientarsi.
Non sembra difficile all’inizio. In qualsiasi posto andiate avrete più o meno un’idea di dove si trovi l’uscita: all’Ikea no.
Entrati nel flusso di esseri umani che vagano tra le sue lande pericolosamente familiari eppure decisamente aliene vivrete l’esperienza tragica di non sapere più dove siete e dov’è l’uscita.
Ovunque vi giriate vedrete solo mobili, armadi, letti, sedie e pareti divisorie che delimitano una serie apparentemente infinita di stanze. Sembra di stare in un racconto di Kafka, solo che qui è tutto reale.
All’Ikea non potete andare dove vi pare: c’è un percorso prestabilito, un unico lunghissimo e contorto budello che si snoda tra camerette, cucine, letti disfatti e complementi vari. Non esistono scorciatoie, il percorso non può essere aggirato in nessun modo – a meno che non abbiate un bulldozer. La regola è semplice, in qualsiasi punto vi troviate per uscire avete una sola direzione da prendere: avanti.

Mangiare.
Nonostante sui volantini si parli con orgoglio della gastronomia svedese, in realtà della cucina svedese nessuno aveva mai sentito parlare prima dell’esistenza dell’Ikea.
Non credo sia un caso.
Ad ogni modo al ristorante svedese potete trovare del cibo per sostentarvi, ma anche qui non mancano le insidie.
Per prima cosa dovete mettervi in fila muniti di vassoio, lungo l’ennesimo budello contorto, questa volta delimitato da transenne di metallo. Poi potete prendere i pasti che vi trovate davanti man mano che la fila scorre, come in un normale self service.
Se davanti a voi trovate il solito indeciso su cosa prendere siete fottuti, potrebbero passare varie ere geologiche prima della fine. Aggirare l’indeciso in questione – magari fermo al banco delle macedonie di cui non ve ne frega una mazza – è impossibile, perchè il budello in cui siete infilati è troppo stretto.
La cucina svedese comunque è principalmente a base di pesce e a me il pesce non piace, quindi ho optato per delle lasagne con la salsa acida – non è un tipo particolare di salsa, è salsa di pomodoro, che però è acida – e delle polpette di carne con una salsa marrone a base di panna.
Panna e cos’altro non è dato saperlo.
Le polpette, comunque, vi faranno simpaticamente compagnia per tutta la giornata, riproponendosi allegramente fino alla sera.
Il pasto inoltre viene consumato nella più totale promiscuità, e non è raro che gente che non conoscete si sieda accanto a voi – intendo allo stesso tavolo – impedendovi di dissertare sui culi delle ragazze che passano.

Andare a cacare.
Anche questo dovrebbe essere semplice ma non lo è.
Se avete appena mangiato le pesantissime polpette svedesi non dovete addentrarvi nel budello principale dove ci sono i mobili, perchè se poi dovete andare in bagno vi toccherà percorrerlo tutto fino alla fine – ed è bello lungo – scansando gli umani che lo intasano come l’intestino di un mostro biblico.
Correndo.
Se riuscite ad uscire indenni e trovate il cesso scoprirete che gli svedesi devono avere dei culi piccolissimi.
La prossima volta che vedrò Filippa Lagerbach a “Che tempo che fa” cercherò di farci caso.
Sul serio, i cessi hanno le stesse dimensioni di una tazzina da caffè.
A catania – dove sono stato io – nei bagni è in voga inoltre un simpatico sport chiamato fai più rumore che puoi sbattendo le porte e urlando. Non preoccupatevi, non c’è una rissa, gli indigeni fanno così per divertirsi.
Almeno fino a quando non scoppia una rissa.

Fumare.
Uscire a fumare una sigaretta non dovrebbe essere difficile, tuttavia dato che guadagnare l’uscita è piuttosto complicato potrete trovare a vostra disposizione dei loculi ottimisticamente chiamati “stanza fumatori”.
Ottimisticamente perchè le dimensioni sono più o meno quelle delle cappelle dei cimiteri.
Anche in questo caso essendo in tanti in uno spazio ridotto la presenza delle altre persone è estremamente ingombrante e vi impedirà di chiacchierare e scambiarvi oscenità varie.
Una parete è fatta esclusivamente di vetro, forse per diminuire l’impressione di essere davvero dentro una cappella al cimitero.
E’ interessante notare che in questa parete vetrata c’è una banda opaca in corrispondenza del vostro volto, così quelli che passano non potranno vedervi mentre indulgete nel vostro orribile vizio.

Per inciso, all’Ikea abbiamo comprato un maiale di pelouche e l’abbiamo chiamato Gaia. Era accanto a dei pelouches a forma di broccoli. Non che ricordavano vagamente dei broccoli, erano proprio dei broccoli di pelouche, con gli occhi e la bocca. Mah.

PRO Ikea: potete comprare un maiale di pelouche e fare un simpatico regalo alla vostra ragazza. O un broccolo di pelouche se volete farvi lasciare.
CONTRO Ikea: confusione, promiscuità, cibo pesante, caldo, senso di disorientamento, cessi piccoli e via dicendo.